Girolamo Brusaferro
(Venezia 1684-1760 ca)
La liberazione di san Girolamo Miani
1712 olio su tela, cm. 140 x 245
Siamo di fronte a un suggestivo bozzetto dove l’artista veneto dipinse l’Ultima comunione di Lorenzo Giustiniani con l’intento di darne successivo sviluppo nel grande telero che gli era stato commissionato per la chiesa di San Pietro di Castello, l’allora cattedrale di Venezia.Il dipinto, dopo il restauro al quale è stato sottoposto nel 1973, ha rivelato un’iscrizione con la data 1712 visibile in basso a sinistra. Questo importante dato cronologico e gli studi condotti negli anni successivi da alcuni storici dell’arte, hanno portato a una credibile ipotesi attributiva, assegnando il dipinto al catalogo di Girolamo Brusaferro, il cui nome risulta iscritto nella Fraglia dei pittori veneziani dal 1702 al 1721.
Vi è raffigurato un episodio della vita di Girolamo Miani – numerose sono le rappresentazioni iconografiche che si conoscono del Santo fondatore dell’ordine dei Somaschi – e, più precisamente, la sua miracolosa liberazione da parte della Madonna, mentre si trovava prigioniero dei francesi durante la guerra della lega di Cambrai (1511). Il Miani, a capo della guarnigione veneziana di Castelnuovo di Quero – l’avamposto che controllava il corso del Piave sulla strada Feltre-Treviso – dopo una strenua difesa del castello assediato dalle truppe francesi, era caduto in mano nemica ed era stato fatto prigioniero il 27 di agosto; un mese durò la segregazione nella torre, legato ai piedi con catene e con una palla di pietra al collo. Poi, nella notte tra il 26 e il 27 settembre, avvenne il miracolo: una donna vestita di bianco gli apparve e gli consegnò le chiavi per aprire i ceppi e la porta della cella.
Nel dipinto la scena raffigurata si riferisce al momento in cui, avvenuta la liberazione, Girolamo Miani viene guidato dalla Madonna attraverso il campo nemico, ancora brulicante di soldati che però sembrano non accorgersi dell’evento miracoloso che si sta compiendo. Nel registro inferiore destro due angioletti sorreggono le chiavi e i ceppi, strumenti della prigionia. L’oscurità del cielo notturno sta lasciando spazio ai primi bagliori dell’alba che si riflettono su una delle tende dell’accampamento e rischiarano in lontananza gli edifici di una città, Treviso, che la Vergine gli sta indicando con il gesto del braccio destro teso, invitando il Miani a dirigersi lì, nella chiesa della “Madonna Grande”, per sciogliere il voto fatto durante i terribili giorni di prigionia.
Girolamo Brusaferro era stato allievo di Nicolò Bambini, di cui a lungo imitò la maniera, per poi accostarsi al linguaggio di Sebastiano Ricci. In questo dipinto, tuttavia, emergono ancora vivi gli echi della pittura di Carlo Maratta – di cui il Bambini era stato scolaro – per cui appare indiscutibile la vicinanza del Brusaferro, a questa data, agli insegnamenti del suo primo mentore – che si palesano, a esempio, nella plasticità con la quale è modellato il corpo del Santo – collocando il quadro in un preciso contesto di opere della prima maturità. L’avvicinamento alla nuova pittura del Ricci, di Antonio Balestra e di Antonio Molinari si manifesterà apertamente pochi anni dopo, anche se un primo accenno lo si può cogliere nella resa degli angioletti affini proprio ai modi del Balestra.
Alla data di realizzazione della tela, 1712, Girolamo Miani non era ancora stato beatificato – lo sarà nel 1747 –, per cui il dipinto non fu commissionato per essere esposto in una chiesa al pubblico culto, ma, considerate anche le dimensioni e le proporzioni, come opera di rappresentanza voluta dall’Ospedale di Santa Maria dei Derelitti, la cui fondazione si deve allo stesso Miani nel 1527.