Nicolò Bambini
(Venezia 1651-1736)

Mosè bambino calpesta la corona del faraone

1710 ca – olio su tela centinata, cm. 172 x 290

La genesi del dipinto e la storia di come esso sia giunto nelle collezioni I.R.E., ricalca quella dell’altro raffinato quadro “da sala” ascritto al medesimo artista – Ester al cospetto del re Assuero – e che si presenta in questo catalogo.

D’altronde, se è vero, come si stima, che i quadri erano appartenuti entrambi alle collezioni d’arte della palladiana villa Barbaro a Maser, si può intuire la volontà da parte dei committenti di dar vita a un arredo pittorico che soddisfacesse i loro gusti con la coerenza delle storie narrate e con un tipo di pittura – quale era quella di Nicolò Bambini – volta alla ricerca di una bellezza ideale ottenuta tramite il misurato e sapiente dosaggio di ombre e di mezze luci e la creazione di forme splendenti e levigate.

Un pittore che, a evidenza, rispondeva appieno al gusto imperante in quel primo decennio del Settecento, se è vero che – come ci testimonia Alessandro Longhi (1762), «[…] in breve tempo osservaronsi da lui dipinti in molte Case Patrizie, varj soffitti ad olio, di Poetiche bizzarre invenzioni, così graziosamente coloriti, che formossi un così alto concetto appresso la Nobiltà, che gareggiava ogn’uno, per possedere qualche sua opera».

Un giudizio che non possiamo non condividere quando ci troviamo al cospetto della straordinaria maestria di Nicolò Bambini degli anni migliori, quando cioè, sullo scadere dei Seicento e nel primo decennio del secolo successivo, dal suo pennello scaturivano immagini di alto valore formale, come nel qui presente Mosè bambino calpesta la corona del faraone.

Al centro esatto della composizione, il piccolo Mosè, tenuto in braccio dalla figlia del Faraone, calpesta con il piede la corona regale che il faraone ha appena cercato di fargli indossare. Il sovrano, nella metà sinistra della tela, seduto sul suo trono, in abiti più romani che egiziani, commenta con il gesto della mano aperta e con l’espressione di meraviglia il gesto di disprezzo del fanciullo, mentre l’anziano con il capo coperto, alle sue spalle, amplifica l’espressione di sdegno con un’analoga mimica facciale.

L’episodio non è riportato dalla Bibbia ma lo possiamo leggere nel Flos Sanctorum di Alonso De Villegas (1588), che riporta l’episodio narrato da Giuseppe Flavio nelle Antichità giudaiche: «[…] essendo costui [Mosè], alla presenza del re e della sua figliola […] essendo il re molto contento della sua bellezza e della sua presenza, essendo di tre anni, burlando con lui gli pose in capo la sua propria corona e […] Moisè, molto adirato, la prese e gettolla a terra».

L’artista dispiega tutta la sua maestria – che diviene anche “sigillo” del suo personale linguaggio – nella resa delle figure femminili dai lineamenti perfetti e dalle carni alabastrine; ma anche nel modo di panneggiare i preziosi abiti di cui possiamo cogliere la tattile sontuosità.

Nonostante dal racconto visivo si evinca l’austero messaggio religioso in esso contenuto, Nicolò Bambini si esprime con modi garbati e misurati, quasi si trattasse di una galante scena di conversazione, restando fedele al suo delicato modo di sentire, normalmente non incline a sfoderare immagini cariche di sentimenti ostentati.