Damiano Mazza
(Padova 1550 ca. – Venezia 1576)
Incoronazione della Vergine
1575 ca olio su tela, cm. 240 x 245
È la pala dell’altare maggiore della chiesa di Santa Maria dei Derelitti (vulgo dell’“Ospedaletto”) l’opera più celebre – anche se purtroppo celata in gran parte dal maestoso tabernacolo del Longhena – del pittore padovano Damiano Mazza, nella quale viene raffigurata l’Incoronazione della Vergine per mano di Gesù Cristo e di Dio Padre.
Pochi sono i quadri che si conoscono di questo promettente artista, allievo prediletto di Tiziano, morto troppo prematuramente per poter lasciare di sé una traccia indelebile nel panorama artistico veneziano. Pare infatti assodato che la sua morte sia avvenuta all’età di 26 anni, durante la terribile pestilenza del 1576 che nello stesso mese si porterà via anche il suo maestro. Di Damiano Mazza rimangono pochissime opere certe, come la grande tela con il Rapimento di Ganimede, ora conservata alla National Gallery di Londra, talmente tizianesca per concezione ed esecuzione, da essere creduta di mano del grande artista cadorino.
Tuttavia, se si guarda a questa sontuosa pala d’altare, si comprende appieno – con un misto di meraviglia e di rimpianto – il talento di questo pittore, che avrebbe potuto lasciare numerose altre testimonianze memorabili come questa in cui i pochi elementi ancora strettamente accademici passano inosservati al cospetto della straordinaria raffinatezza del colore, unita a una materia cromatica generosa e perfetta nella scelta delle sue tonalità.
Contrariamente all’iconografia classica, in questa pala si assiste, forse per la prima volta, a una rappresentazione “a livello d’uomo” di questo soggetto divino: le monumentali figure del Cristo e del Padreterno non sono più ieraticamente isolate in un fondo oro, ma, tramite la mediazione della Vergine, si rendono disponibili nei confronti dell’Umanità, accettando di porsi sul suo stesso piano. L’atteggiamento fortemente ‘umano’ del Figlio, e la serena compostezza del Padre – entrambe figure di memoria tizianesca – sono la testimonianza delle aperture moderniste di un Damiano Mazza che pare aver compreso appieno le recenti disposizioni in materia del Concilio di Trento.
L’esecuzione appare raffinata e puntuale nella descrizione di alcuni dettagli: la mano sinistra del Padre appoggiata a un globo di cristallo di cui possiamo avvertire tutta la fragilità; il prezioso piviale che gli avvolge le spalle e che si “accende” nell’accordo di grigio e oro dei paramenti liturgici; il luccichio delle pietre incastonate nella corona che sta per essere posata sul capo della Madonna; la gloria di angeli sovrastante, i cui contorni di figura umana, nel dissolversi nell’eterea luce divina, si trasfigurano in nuvole.
Se facciamo riferimento al contratto del 1575, con il quale si stabiliscono le modalità dell’esecuzione lapidea del nuovo altare, è probabile che a quell’anno si possa collocare anche la realizzazione di quest’ultima opera della breve vita del pittore, realizzata dopo la tela con l’Assunzione della Vergine che un tempo adornava il soffitto della medesima chiesa – evidentemente integrando la tematica mariologica strettamente connessa al titolo della chiesa appena fondata – rimossa una sessantina di anni più tardi durante una campagna di rinnovamento dell’apparato decorativo e che il Ridolfi ricorda con rimpianto scrivendo: «[…] mancò Damiano ne’ più begli anni suoi, che haverebbe anco fatto cose maggiori, promettendolo le opere da lui dipinte».