Sebastiano Ricci
(Belluno 1659 – Venezia 1734)

Tobia restituisce la vista al padre Tobi

nono decennio del XVII secolo – olio su tela, cm. 121 x 166

Di questo dipinto abbiamo notizia nell’inventario stilato nel 1790 da Pietro Edwards, lì dove viene descritto il tema dell’opera e il suo autore: «Sebastiano Ricci. Tobia risanato dalla cecità».

Il soggetto, tratto dall’Antico Testamento, ha come protagonisti il vecchio Tobi, ebreo giusto e pio, che, a causa della cateratta agli occhi, è ormai impedito nel suo lavoro e deve sopportare che la sua sposa si impieghi presso estranei per guadagnare il necessario per vivere. I vicini scherniscono l’uomo: Dio si è dimenticato di lui, poco gli è servito rispettare la volontà del Signore e l’essere ligio ai suoi comandamenti. Davanti alla disperazione del vecchio Tobi, Dio si muove a compassione e manda sulla terra uno dei suoi sette arcangeli, Raffaele. Egli assume l’aspetto di un giovane e si presenta nell’umile dimora di Tobi proprio nel momento in cui il figlio Tobiolo, per volontà del padre, sta per partire alla volta di Media per recuperare vecchi crediti. Ma Tobiolo, nella sua totale inesperienza della vita, è pieno di timori nell’affrontare il viaggio; ecco allora che l’arcangelo Raffaele – strumento mandato da Dio – si offre di accompagnarlo, e in più di una situazione la sua presenza si dimostrerà salvifica per la sopravvivenza del ragazzo.

Dopo vario peregrinare e dopo le molte prove affrontate, finalmente Tobiolo potrà far ritorno a casa, recando con sé il denaro riscattato; non solo: grazie alle proprietà terapeutiche contenute nel fiele del pesce catturato con l’aiuto dell’arcangelo Raffaele in una delle tante avventure, il giovane può guarire la cecità del padre.

Ed è questo l’istante fermato sulla tela: la ricompensa dei giusti, per volontà del Signore, si palesa ai nostri occhi con il gesto di Tobiolo, ancora con le vesti da viandante e una fiasca sulla spalla, che sta per applicare il medicamento sugli occhi del padre.

La gestualità e l’espressione dei personaggi, molto teatrale, esalta il gusto narrativo di Sebastiano Ricci, evidente soprattutto nelle opere di questo momento della sua attività, ovvero negli ultimi due decenni del Seicento, in cui i suoi rapporti più stretti erano con artisti emiliani caracceschi o post-caracceschi ed egli, non ancora rientrato definitivamente a Venezia, operava soprattutto tra Bologna e Parma.

Artista eclettico e “onnivoro”, Ricci possedeva una cultura brillante e un solido sapere iconografico che gli consentono di affrontare soggetti di ascendenza storico-letteraria, così come soggetti religiosi tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Non è escluso, naturalmente, che il soggetto gli fosse stato suggerito dalla committenza, ma è vero anche che per un artista “mobile” come lui, la dotazione di un variegato bagaglio culturale al quale attingere per le sue narrazioni dev’essere dato per certo.

In questa fase della sua lunga, feconda e fortunata carriera artistica, il linguaggio si palesa ancora strutturalmente barocco e lascia trasparire la grande forza che il pittore sa esprimere in questa fase così pregnante della sua prima maturità.